Catania: “vendevano” cittadinanze italiane, 9 arresti

Cinquemila euro con alloggio e cena di festeggiamento compresi, per ottenere, in poco meno di due settimane, la cittadinanza italiana. Ma anche il passaporto italiano e la possibilità di poter circolare liberamente nell’area Schengen o trasferirsi negli Stati Uniti per lavoro. 
È il pacchetto “Tudo incluìdo” offerto a dei brasiliani che, con la complicità di alcuni dipendenti del comune di Catania, avevano la certezza del buon esito delle pratiche in tempi rapidissimi. 

Questo è il risultato di quanto scoperto dalla Squadra mobile di Catania: un’organizzazione che vendeva cittadinanze italiane “iure sanguinis” a brasiliani.
Per nove persone sono stati disposti gli arresti domiciliari, mentre per altre tre è scattato l’obbligo di firma all’autorità giudiziaria. Tutti sono accusati di associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato dalla trans nazionalità e dal fine del profitto, corruzione e falso in atto pubblico.

Le indagini, svolte con servizi sottocopertura e telecamere installate negli uffici comunali di Catania, hanno consentito, ai poliziotti della Sezione criminalità straniera e prostituzione, di scoprire un’organizzazione criminale operativa, tra Brasile e Italia, nella compravendita della cittadinanza italiana “iure sanguinis”, cioè attraverso la linea di sangue.
Promotori di tutto questo erano un titolare di agenzia disbrigo pratiche, operante a Catania da diversi anni e un italo brasiliano dimorante in Brasile. Quest’ultimo aveva il compito di agganciare la clientela, assistere i brasiliani rivendicanti la titolarità del diritto ad acquisire la cittadinanza italiana nonché incassare i primi acconti.

Il gruppo si avvaleva di una rete di impiegati compiacenti del comune di Catania, deputati ad accelerare l’iter di acquisizione della cittadinanza italiana, attribuendo priorità di trattazione alle pratiche presentate dal promotore per conto dei suoi assistiti, anche attraverso l’adozione sistematica di atti contro la legge.
Nel corso delle indagini è emerso che i dipendenti del comune di Catania, con il ruolo di organizzatori, avevano costituito una vera e propria squadra e ciascuno aveva compiti idonei alla propria competenza. Implicati c’erano: un vigile urbano addetto ai controlli sulle residenze, un’impiegata dell’ufficio stranieri del comune, la responsabile dell’ufficio cittadinanze e un addetto all’archivio dello stato civile che, utilizzando a fini personali la funzione pubblica ricoperta, riuscivano a controllare le pratiche presentate, lavorandole velocemente.

Ad accusarli anche le riprese video della consegna di soldi fatte con telecamere nascoste installate dalla Polizia. Il giro d’affari stimato dalla Squadra mobile è di 265mila euro, somma per cui è stato disposto il sequestro preventivo di beni a carico dei due promotori dell’associazione. Sequestrati inoltre 4 immobili a Catania, utilizzati per ospitare i brasiliani durante il soggiorno in città.

Donatella Fioroni

Sfruttava l’azienda per produrre criptovalute, denunciato dalla Postale

Aveva escogitato un sistema per fare soldi sfruttando le risorse informatiche della società presso la quale lavorava utilizzandole per produrre criptovalute. L’uomo ha approfittato del suo impiego come tecnico presso la Sacal Spa, società che gestisce gli aeroporti calabresi, per installare un malware che gli consentisse di controllare da remoto una infrastruttura informatica abusivamente collegata ai server dell’azienda, per produrre moneta virtuale.

Il produttore di queste valute elettroniche viene definito “minatore”, e il suo dispositivo diventa una sorta di miniera che, in collaborazione con altri minatori della Rete, contribuisce alla ricerca del “blocco” di valuta e alla sua estrazione. Questi minatori spesso si riuniscono in “pool” per lavorare insieme sull’estrazione della moneta elettronica, ottenendo pagamenti più stabili e frequenti.

In particolare il tecnico aveva installato cinque potenti elaboratori elettronici, definiti tecnicamente “Mining Rig” (in inglese: impianto di perforazione), che, insieme, costituivano una “Mining farm” (fattoria di estrazione) attraverso la quale veniva creata la criptovaluta “Ethereum”.

CriptovalutaQuesto procedimento richiede ingenti spese di energia elettrica, necessaria al funzionamento quotidiano e ininterrotto delle apparecchiature, collegate alla rete Internet esterna attraverso i sistemi dedicati alla gestione dei servizi aeroportuali, che rimanevano così esposti, compromettendo notevolmente la sicurezza dello scalo.

L’attività investigativa della Polizia postale di Reggio Calabria e Catanzaro, svolta in collaborazione con il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic), ha preso il via su input della Polizia di frontiera, a sua volta sollecitata dei tecnici della Sacal, che erano stati allarmati da alcune anomalie sui sistemi informatici della rete tecnologica aeroportuale.

Gli specialisti della Postale, con la collaborazione delle autorità aeroportuali, hanno analizzato la rete informatica dell’hub, scoprendo la presenza, in due differenti locali tecnici, della “Mining farm”, che permetteva all’indagato di produrre la criptovaluta senza sostenere alcun costo da parte sua.

L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Lamezia Terme, ha permesso di individuare ed esaminare gli indirizzi ip delle macchine installate, di identificare il sito del Pool “Ethereum” e di monitorare tutta la struttura, documentando, attraverso servizi di osservazione ed appostamenti, svolti anche con telecamere nascoste, l’attività del 41enne dipendente della Sacal.

L’uomo è stato denunciato e tutte le apparecchiature elettroniche abusivamente installate sono state sequestrate.