I nostri caduti: il ricordo di Roberto Mancini

roberto manciniSono passati 7 anni dalla morte di Roberto Mancini, il sostituto commissario, medaglia d’oro al valor civile alla memoria, deceduto il 30 aprile del 2014 a seguito di una lunga malattia contratta durante i frequenti sopralluoghi nella cosidetta “Terra dei fuochi”.

Roberto Mancini fu uno tra i primi ad indagare in Campania sulle ecomafie e sul fiorente traffico portato avanti dalle organizzazioni criminali. La assidua presenza in zone contaminate lo aveva portato ad ammalarsi di un linfoma clinicamente riconducibile all’esposizione ai rifiuti tossici.

Beppe FiorelloAl poliziotto, la cui figura è stata interpretata da Beppe Fiorello nella fiction di Rai1 “Io non mi arrendo”, è stata dedicata nel 2016 una sala del commissariato “San Lorenzo” della questura di Roma in ricordo dell’impegno e del sacrificio del Sostituto commissario.

Gela: individuati 7 dipendenti assenteisti

Si assentavano durante l’orario di lavoro per svolgere impegni personali, che con il loro impiego presso l’Azienda sanitaria provinciale di Caltanissetta, non avevano nulla a che fare.

Questa mattina, al termine dell’indagine “Exit”, gli agenti del commissariato di Gela hanno notificato a sette dipendenti dell’azienda ospedaliera, altrettante misure cautelari emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale gelese.

In totale sono 18 gli indagati, ai quali vengono contestate diverse condotte di truffa aggravata dall’abuso di relazione di prestazione d’opera, in violazione dei doveri inerenti all’esercizio di un pubblico servizio.

La misura cautelare dell’interdizione per 12 mesi da tutte le attività inerenti il proprio ufficio nell’ospedale Vittorio Emanuele di Gela, è stata disposta nei confronti di tre persone, mentre alle altre quattro è stato notificato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, dal lunedì al venerdì, due volte al giorno, prima e dopo lo svolgimento dell’attività lavorativa.

L’indagine è stata avviata nel settembre del 2019 su impulso della Procura della Repubblica di Gela che ha voluto approfondire quanto riportato su un’annotazione di servizio redatta dagli agenti del commissariato in merito ad un intervento effettuato presso gli uffici dell’ospedale Vittorio Emanuele.

In particolare ha destato particolare attenzione lo sfogo di un utente, il quale lamentava l’esistenza di inefficienze e diseconomie organizzative e funzionali della struttura sanitaria. Inoltre si riferivano le frequenti assenze, durante il turno di servizio, di alcuni dipendenti della struttura ospedaliera, i quali, dopo aver timbrato il badge in ingresso, si allontanavano senza alcuna giustificazione.

Per verificare le informazioni acquisite, gli investigatori del commissariato hanno piazzato telecamere in corrispondenza di tutte le postazioni badge della struttura sanitaria, registrando numerosi episodi di assenteismo da parte degli indagati che, in alcuni casi, timbravano anche per i colleghi.

Arrestati a Parigi 7 terroristi italiani latitanti

La sala operativa interforze di poliziaArrestati a Parigi, questa mattina, 7 latitanti italiani condannati per atti di terrorismo, che avevano trovato rifugio in Francia.

Gli arresti sono stati effettuati dalla Sdat, l’antiterrorismo francese, in collaborazione con il Servizio antiterrorismo interno della Polizia di Stato, con il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia della Direzione centrale della polizia criminale e con il supporto dell’esperto per la sicurezza e per l’antiterrorismo della polizia Italiana, a Parigi.

“L’attività è il risultato di un’attività sul piano della cooperazione giudiziaria e su quella internazionale di polizia” ha dichiarato Giuseppe Spina, direttore dello Scip.

Eugenio Spina, responsabile del servizio antiterrorismo interno della Direzione centrale della polizia di prevenzione, in relazione alla ricerca delle persone sfuggite al blitz della polizia francese ha ricordato che “Altre tre persone sono ricercate dalla Polizia francese anche in questo contesto collaboriamo alla ricerca in relazione alle possibili vie di fuga dei ricercati”

Potenza: indagati 17 appartenenti al clan mafioso dei Riviezzi

Eseguite dalla Squadra mobile di Potenza 17 misure cautelari nei confronti degli appartenenti del clan mafioso dei Riviezzi di Pignola, operativo di fatto in tutta la provincia potentina.

Disposto anche il sequestro preventivo delle quote e del complesso aziendale delle società “Bar del Tribunale srl” e “Gioca e Vinci srls”.

L’indagine ha permesso di far luce sull’attività criminale del clan che da diversi anni controllava la gestione del bar all’interno del Palazzo di giustizia del capoluogo della Basilicata oltre ad essere attivo nelle estorsioni e nello spaccio di stupefacenti.

I poliziotti hanno anche documentato la capacità dell’organizzazione criminale di condizionare alcuni settori della pubblica amministrazione locale, di governare il sistema degli appalti boschivi ed infiltrarsi, sin dal 2017, quale segno di audace auto-affermazione in un luogo simbolico, nella gestione del bar-caffetteria del Palazzo di Giustizia.

Le indagini hanno dimostrato come le società che dal 2017 si sono succedute nella gestione del locale, sebbene intestate a semplici prestanome avvicendatisi in modo da schermare efficacemente l’interposizione, siano state, fino ad oggi gestite, da appartenenti al clan. E quando nel 2018, una società ha tentato di partecipare all’aggiudicazione dell’appalto, i criminali sono riusciti, attraverso una condotta estorsiva a farla recedere dal ricorso al Tar.

Durante l’attività investigativa, a seguito del riscontro di nuovi elementi, i poliziotti hanno accertato il pieno coinvolgimento di due esponenti del clan nell’omicidio di mafia del 2 aprile 2008 in danno di Tetta Giancarlo, perpetrato nel contesto della lunga e sanguinosa faida che dal 1991 ha scandito la storia dei rapporti con i clan avversari operanti a Melfi.

Sono state inoltre documentate le attività estorsive che dal 2013 i Riviezzi esercitavano in danno di imprenditori e commercianti e la responsabilità nella tentata rapina a mano armata del settembre 2017 ai danni dell’ufficio postale di via Grippo e il furto aggravato del giugno 2018 ai danni dell’ufficio postale di via Messina, da dove vennero rubati 235 mila euro.

Per lo svolgimento delle attività di arresto, perquisizione e sequestro, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato ha disposto l’invio a Potenza di equipaggi delle Squadre mobili di Matera, Avellino, Cosenza e Salerno che, con l’ausilio di personale della Squadra mobile di Napoli, Bologna ed Ascoli Piceno, hanno eseguito attività di polizia giudiziaria anche in Campania, Lazio ed Emilia Romagna.

In totale sono stati impiegati circa 150 agenti tra personale della questura di Potenza, dei Reparti prevenzione crimine Basilicata, Puglia, Campania e Calabria nonché operatori specializzati della Polizia scientifica.

Bari: arrestate 99 persone del clan Strisciuglio

operazioneOperazione “Vortice- Maestrale” di Polizia e Carabinieri a Bari e provincia con l’esecuzione 99 misure cautelari.

Nella notte oltre 400 uomini e donne della Questura di Bari e del Comando provinciale dei Carabinieri, in un’azione congiunta, hanno catturato capi e affiliati del clan Strisciuglio, indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, detenzione e porto di armi, anche da guerra, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, omicidi e tentati omicidi, estorsioni, minacce, lesioni e rissa.

L’operazione è la conclusione di un’indagine avviata nel 2015 dalla Squadra mobile e dal Nucleo investigativo del Reparto operativo dei Carabinieri, che hanno portato al sequestro, negli ultimi anni, anche di considerevoli quantitativi di sostanze stupefacenti e di armi.

Nel corso dell’indagine sono state documentate le mire espansionistiche del gruppo mafioso e la proliferazione dello stesso nell’intera area della città metropolitana.

Con micidiali e sanguinose azioni di fuoco, il clan Strisciuglio aveva preso il sopravvento sul clan Mercante all’interno del quartiere Libertà, acquisendo, in quella parte nevralgica del capoluogo pugliese, il controllo esclusivo delle attività di spaccio e delle estorsioni ai danni dei titolari di attività produttive.

Il clan era riuscito ad imporre ai gestori di alcuni esercizi pubblici del centro di Bari, l’installazione di apparecchi per il gioco, con vincite in denaro, forniti da un’azienda gestita da uno degli affiliati, il quale versava, poi, parte degli introiti nelle casse della cosca, ottenendo in cambio il monopolio di fatto, nel settore.

Le indagini hanno consentito anche di fare luce sulla violenta rissa avvenuta all’interno del carcere di Bari, l’11 gennaio 2016, nel corso della quale si erano fronteggiati, tra gli altri, elementi apicali del clan Misceo, già attivo nel quartiere San Paolo e in Palo del Colle ed esponenti di vertice del clan Strisciuglio determinando la supremazia territoriale dei Strisciuglio.

È stato inoltre accertato come il Clan abbia assunto il controllo delle piazze di spaccio, riversando nella vendita al dettaglio gli ingenti rifornimenti di sostanze stupefacenti, assicurati, sino al 2017, anche da alcuni appartenenti al clan Parisi-Palermiti (operativi nel quartiere Japigia di Bari), che in quel periodo stavano cercando di acquisire una propria autonomia e avevano stretto importanti rapporti commerciali con alcuni esponenti del clan Strisciuglio.

Gli investigatori hanno anche evidenziato come gli Strisciuglio fossero organizzati in modo federale; il clan era suddiviso in cellule dotate di margini di autonomia operativa e, allo stesso tempo, legate tra di loro da solidi vincoli di interconnessione organizzativa e funzionale.

La capacità di controllo capillare dell’organizzazione mafiosa oltre che sul territorio era esercitata anche all’interno del carcere di Bari, imponendo il proprio ruolo egemonico in talune sezioni e svolgendo un’instancabile attività di proselitismo, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.

Dalle investigazioni è inoltre emerso che i vertici del clan continuavano a gestire le attività illecite e ad impartire ordini e direttive anche durante la detenzione, tramite i familiari ma anche in via diretta utilizzando telefoni cellulari consegnati clandestinamente in carcere.