Trapani: rapinatori in trasferta traditi da una maglietta

I responsabili di una rapina avvenuta presso la filiale della banca Credem di Trapani sono stati arrestati dalla Squadra mobile di Trapani in collaborazione con quella di Palermo.

In trasferta da Palermo, i tre criminali sono stati traditi da una maglietta bianca e nera che non è passata inosservata all’analisi dei filmati di videosorveglianza.

Gli agenti, attraverso le telecamere sparse per la città, hanno ricostruito gli spostamenti dei rapinatori dopo il colpo, fino al loro rientro a Palermo sempre seguendo le tracce della maglietta.

La rapina è avvenuta il 26 agosto scorso: i malviventi erano entrati nella banca grazie ad uno dei tre che fingendosi un cliente, era riuscito ad oltrepassare per primo la bussola di sicurezza, con il viso parzialmente nascosto da un cappellino.

Una volta all’interno, l’uomo aveva minacciato uno dei cassieri con un paio di forbici trovate su una scrivania e gli aveva fatto aprire la bussola, per far entrare gli altri due complici.
Con sangue freddo e autocontrollo, i tre avevano chiuso in una stanza gli impiegati e i clienti presenti insieme a quelli che, via via, entravano nella filiale.

I rapinatori avevano atteso, con il cassiere e il direttore, l’apertura nel caveau della banca di uno dei due “tesoretti” temporizzati e si erano impossessati di 50mila euro; poi avevano costretto un impiegato a fare dei prelievi dalla cassa di 15mila euro e, infine erano scappati a bordo di due auto.
Gli investigatori, dopo la rapina, avevano perlustrato la città, individuando la via di fuga e le auto usate dai tre grazie alle immagini della videosorveglianza di alcuni esercizi commerciali della zona.

Sul percorso fatto dalle due auto, i poliziotti avevano trovato, dentro a un cassonetto dei rifiuti, una camicia e i guanti in lattice indossati da uno dei malviventi e tre telefoni cellulari, che erano stati sottratti ai clienti della banca.

Rapine e furti in villa, sgominata banda con base a Roma: 6 arresti

refurtiva romaSei persone, ritenute responsabili di rapine e furti in ville del nord e del centro Italia, sono state arrestate dai poliziotti del Commissariato Aurelio a Roma. La banda, composta da cittadini albanesi, è stata fermata questa mattina nell’ambito dell’operazione “Massa San Giuliano”. Altre nove persone sono state denunciate a piede libero. I rapinatori avevano le basi operative dei quartieri periferici di Tor Bella Monaca e Ponte di Nona, alla periferia di Roma, all’interno di alcune case popolari.

I rapinatori entravano in azione esclusivamente durante le ore serali e notturne e da Roma si spostavano nelle città del centro e nord Italia per compiere furti e rapine.

I reati venivano commessi anche quando le persone erano in casa e, in diverse occasioni, oltre a denaro e oggetti preziosi i ladri avevano preso anche le chiavi delle autovetture delle vittime che utilizzavano per i loro spostamenti e per commettere i successivi furti. L’indagine è iniziata circa un anno fa quando i poliziotti avevano sorpreso alcuni degli arrestati di oggi mentre operavano “un cambio macchina” dopo aver commesso un furto nei comuni di Trevignano e Bracciano (Roma). In quella circostanza gli indagati erano riusciti a fuggire.

I malviventi spesso arrivavano a guadagnare, in un solo inverno, più di un milione di euro. Nei loro tragitti si spostavano prevalentemente con autovetture “pulite” ed erano soliti nascondere le auto rubate, tutte di grossa cilindrata, nei luoghi più disparati della Capitale come ad esempio il parcheggio di un ospedale o in box privati. Grazie alla complicità di una rete di complici, la refurtiva, gli attrezzi atti allo scasso, i lampeggianti, gli scanner, i telefoni cellulari completi di schede nonché l’attrezzatura per commettere i furti venivano nascosti in un terreno.

Durante l’indagine i poliziotti hanno sequestrato una decina di Audi rubate, orologi Rolex, Cartier, Gucci e di altre marche prestigiose, numerosi gioielli d’oro, diamanti ed altri preziosi, nonché borse ed oggetti di pregio che venivano utilizzati dalle compagne degli arrestati.

Roma: presentato il progetto “In Rete con i ragazzi”

Polizia di Stato, Società italiana di pediatria, Anci, Google e UniCredit hanno dato il via a un progetto per favorire un uso positivo del Web, realizzando la guida “In rete con i ragazzi”, associata ad una formazione itinerante rivolta a insegnanti, pediatri e genitori.

I contenuti dell’iniziativa e i risultati di un’indagine condotta da Skuola.net su 10 mila ragazzi, sono stati illustrati, questa mattina a Roma, durante il convegno “In rete con i ragazzi, guida all’educazione digitale”. All’iniziativa ha preso parte il capo della Polizia Franco Gabrielli.

All’evento, moderato dalla giornalista del Tg1 Emma D’Aquino, hanno partecipato il presidente della Società italiana di pediatria Alberto Villani, il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro, il direttore della Polizia postale e delle comunicazioni Nunzia Ciardi, Giorgia Abeltino di Google e Maurizio Beretta presidente di Unicredit Foundation.

Il capo della Polizia Franco Gabrielli nel suo intervento ha sottolineato che “Una parola magica è responsabilità. Quando si usa la rete bisogna essere responsabili. La rete oggi ha introdotto un elemento devastante negli episodi di bullismo. Si vive in un villaggio globale dove è difficile limitare le conseguenze di quello che si scrive o dice”.

Il prefetto Gabrielli rivolgendosi poi ai ragazzi in merito all’uso delle Apps, li ha invitati a scaricare “YouPol” ricordando che “È stata immaginata e pensata per voi, perché si rivolge ai temi del bullismo e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Ha due modalità, una anonima e una in cui ci si registra in modo da poter mandare video, foto e segnalare situazioni di pericolo.

“È un’App che ci sta dando grosse soddisfazioni – ha proseguito il Prefetto – perché abbiamo fatto già diverse operazioni antidroga e siamo intervenuti in alcune situazioni di bullismo. In questo tipo di questioni un ruolo fondamentale c’è l’hanno soprattutto i ragazzi e le ragazze non coinvolti, perché quelli che stanno dentro al problema non hanno la forza per rendersi conto della situazione che stanno vivendo”.

incontro con gli studentiI risultati dell’indagine ci consegnano dei dati che devono far riflettere, soprattutto per i disturbi che i ragazzi, con età compresa tra i 9 e i 18 anni, hanno lamentato a causa dell’uso prolungato di dispositivi elettronici.

I fastidi maggiormente accusati sono la mancanza di concentrazione, bruciore agli occhi, dolori a collo e schiena, difficoltà a prendere sonno. Sono malesseri nuovi che la generazione dei loro padri non conosceva, legati alle tante ore passate davanti agli schermi, soprattutto degli smartphone.

Ma se da un lato esistono i rischi, sono tante anche le opportunità legate alle nuove tecnologie digitali: sviluppare le abilità di ricerca, potenziare il senso di competenza e autoefficacia, favorire la socializzazione entrando in contatto con interlocutori di tutto il mondo.

E proprio per favorire un utilizzo positivo dei dispositivi elettronici, che nasce “In rete con i ragazzi, una guida all’educazione digitale”. 

firma protocolloIl progetto è frutto di un protocollo di intesa tra Polizia di Stato e Società italiana di pediatria, firmato prima dell’evento dal capo della Polizia Franco Gabrielli e dal presidente della Società italiana di pediatria Alberto Villani, ai quali hanno aderito con entusiasmo gli altri partner coinvolti.

L’obiettivo è supportare insegnanti, genitori, pediatri nel guidare i nativi digitali a un rapporto equilibrato con la Rete, prevenendo le possibili conseguenze negative sulla salute psicofisica e relazionale, contrastando il fenomeno del cyberbullismo e di ogni forma di abuso sul minore.

A tale scopo è stata realizzata una guida di facile consultazione, rivolta a genitori, insegnanti e pediatri che affronta i diversi aspetti utili a favorire una navigazione sicura. Uno strumento rapido e agevole per chi ogni giorno si confronta con i ragazzi, spesso tecnicamente più competenti in ambito digitale rispetto agli adulti, ma non per questo pienamente consapevoli dei possibili rischi di un uso sbagliato della Rete. Oltre alla guida sono state previste anche delle giornate dedicate alla “formazione”. 

Polizia di Stato e Autostrade per l’Italia lanciano la campagna “Sei sicuro?”

Alcol, droga, uso del cellulare, cinture e seggiolini, sono i principali fattori di rischio legati agli incidenti stradali, che ogni anno provocano migliaia di vittime. Nel 2018 in Italia si sono verificati 172.553 incidenti stradali con lesioni a persone, con 3.334 vittime e 242.919 feriti.

Parte oggi “Sei sicuro?”, la campagna di comunicazione ideata da Autostrade per l’Italia e Polizia di Stato, che uniscono le loro forze per sensibilizzare gli automobilisti a guidare con attenzione e prudenza, evitando comportamenti alla guida che potrebbero essere pericolosi per sé e per gli altri.

Il mezzo scelto per arrivare alle persone è l’ironia, che è il filo conduttore che lega i tre mini film realizzati per l’occasione, girati con un linguaggio moderno ispirato alle sit-com.

Negli spot si parla dell’uso improprio del telefonino mentre si è al volante, della guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti, del mancato uso delle cinture e del seggiolino per bambini, che insieme alla velocità troppo elevata e al mancato rispetto della precedenza, rappresentano circa il 41% del totale delle cause di incidenti sulle strade.

Protagonisti dei tre mini-film sono per la prima volta i casellanti di Autostrade per l’Italia. Accanto a loro recita Viki Piria, l’unica pilota italiana che corre nella “W Series”, la “Formula 1” dedicata alle donne, e che da tempo è impegnata su Instagram per promuovere la filosofia della guida corretta e della massima attenzione al volante.

In uno dei video, ad esempio, compare il guidatore palesemente alticcio che, tornando a casa dopo una festa, viene pesantemente redarguito dal casellante e si rende conto di aver caricato in auto un perfetto sconosciuto.

Oppure c’è l’appassionato di selfie al volante che, prima di ritirare il biglietto, scopre durante un dialogo surreale con l’esattore che la sua passione instancabile per lo smartphone non solo è fortemente pericolosa mentre guida, ma addirittura provocherà un tremendo litigio con la sua fidanzata.

Infine la terza pillola video è dedicata alla storia di una famiglia abituata a viaggiare senza cinture e senza usare i seggiolini per i bimbi: sarà proprio il padre alla guida a farne le spese, una volta arrivato al casello.

I mini-film portano firma di Luz, giovane agenzia di produzione e content marketing specializzata nella realizzazione di contenuti per i nuovi media. Il regista è Ermanno Menini, l’autore è Cristian Micheletti.

Sergio Foffo

Sfruttamento della prostituzione: 8 arresti a Roma

prostituta lungo la stradaSono accusate di aver ridotto in schiavitù moltissime donne nigeriane, le 11 persone destinatarie di ordinanze cautelari emesse dal Giudice per le indagini preliminari di Roma.

In carcere sono finiti otto nigeriani; altri due sono da tempo fuori dall’Italia ed un altro ancora è ricercato.

Gli investigatori della Squadra mobile romana hanno ricostruito il percorso o meglio il calvario di queste donne dalla Nigeria all’Italia.

Il viaggio

La collaborazione di alcune vittime ha consentito in particolare di disegnare le fasi del reclutamento e della partenza dai villaggi di origine.

Le donne, spesso minorenni, venivano avvicinate da persone vicine al clan familiare e lusingate con promesse di facili guadagni in Europa.

Non veniva nascosta l’attività di prostituzione che sarebbe stata svolta al loro arrivo in Italia, ma ne venivano enfatizzati gli aspetti positivi: guadagni ingenti e poche o nulle le spese di viaggio e mantenimento.

Dopo aver accettato, le donne venivano sottoposte ad un rito religioso con uno stregone che suggellava il patto con le divinità.

Il culto JuJu in Nigeria è molto diffuso e i patti stipulati con i “sacerdoti” di questa religione sono molto temuti dalla popolazione: non rispettarli significherebbe per le ragazze attirare su di sé e sui propri congiunti malattie, sciagure e morte.

Non appena il rito veniva compiuto le ragazze venivano allontanate dalla propria famiglia; in buona sostanza venivano prese in consegna dall’organizzazione che le teneva rinchiuse in attesa della partenza.

Dalla Nigeria le donne, attraverso il Niger, arrivavano sino a ridosso delle coste libiche, dove venivano alloggiate all’interno di “connection house”, in attesa del passaggio via mare a bordo di barconi.

Ovviamente, già durante il viaggio, le donne capivano che i guadagni promessi non sarebbero mai stati realizzati: il viaggio in camion o in bus veniva anticipato dalle “madame” residenti in Europa. Costava da 30mila a 35mila euro, da ripagare in prestazioni sessuali, e anche il cibo e la permanenza nella “connection house” dovevano essere ripagati nello stesso modo.

Durante il tragitto le donne venivano violentate e malmenate, anche per iniziare quella sorta di assoggettamento che le avrebbe rese oggetti di proprietà dell’organizzazione.

Arrivate in Europa, le donne venivano affidate alle “madame” che continuavano l’assoggettamento psicologico e fisico: permanenza in casa con la “madame”, nessuna relazione sentimentale, pagamento dell’alloggio, del vitto e dell’affitto del marciapiede dove prostituirsi.

Non c’era nessuna possibilità di ribellarsi: il rapporto era talmente stretto che le malcapitate chiamavano le “madame” con il diminutivo di “mami”, mentre le ragazze a loro volta erano chiamate figlie.

Il passaggio di denaro

Difficile è stato ricostruire il passaggio di denaro tra questi moderni schiavisti.

I criminali infatti non utilizzavano sistemi bancari o di money transfer, ma utilizzavano il sistema Hawala; un sistema molto semplice che non prevede reali passaggi di denaro durante la transazione. Il soggetto, che chiameremo A, avendo la necessità di trasferire del denaro al soggetto B, si avvale di un intermediario, l’hawaladar broker, che riceve il denaro e che si rivolge ad un suo referente, un altro hawaladar broker, nella località di destinazione del denaro.

Il segreto sta in un codice, una parola cifrata, un simbolo, che il primo intermediario consegna al soggetto A; questo lo comunicherà al soggetto B, che, a sua volta, lo utilizzerà con il secondo intermediario; quest’ultimo riterrà il codice comunicato, come un codice di sblocco del denaro, che verrà quindi consegnato al soggetto B, fruitore finale della intermediazione.

Il denaro, fisicamente, invece, viaggerà in modo separato attraverso dei corrieri, nascosto in valigie o con altri sistemi.