Rapina milionaria ad un portavalori a Milano, 7 arresti

Erano armati fino ai denti quando, il 15 ottobre 2016, misero a segno una rapina ad un portavalori che trasportava gioielli per un valore che si aggirava attorno ai 4 milioni di euro. Stamattina sette persone, tutte di origine pugliese, sono state arrestate dai poliziotti della Squadra mobile di Milano con la collaborazione dei colleghi di Foggia e della Scientifica di Milano.

Nel corso della rapina, avvenuta in via La Cava a Bollate, nell’area metropolitana di Milano, furono sottratti gioielli storici della ditta Bulgari, collezione “Heritage” e gioielli di altre prestigiose case. Nella circostanza due furgoni, dopo essere usciti dalla sede della ditta, furono bloccati da persone travisate con passamontagna e armate, arrivate sul posto a bordo di tre auto.

Gli stessi, con una motosega, aprirono la carrozzeria del furgone e prelevarono i gioielli dopodichè scapparono a bordo di due vetture mentre una restò sul luogo della rapina.

Le indagini sono iniziate con l’analisi dei traffici delle celle telefoniche attraverso cui è stato possibile risalire alle utenze usate dai rapinatori. 

Inoltre, nel prelevare il bottino, uno dei rapinatori si era ferito con la lamiera, procurandosi una ferita dalla quale era uscito del sangue. Da qui i poliziotti hanno estrapolato un profilo genetico valido che, confrontato con uno degli indagati nel corso di una perquisizione, ha dato riscontro positivo.

 

Preso l’assassino del giovane ucciso a Torino

Fermato a Rieti dalla Squadra mobile di Torino e dagli uomini della questura reatina, l’autore dell’omicidio avvenuto lo scorso 19 gennaio all’interno delle palazzine occupate dell’ex Moi, di Torino.

La vittima, un giovane nigeriano, è stato ritrovato disteso su un letto, con il cranio fracassato da un colpo inferto con un bilanciere da palestra.

Indagando sulla vittima, gli investigatori hanno scoperto che lo stesso recentemente era stato vittima di un investimento da parte di ignoti a bordo di una Lancia Y bianca, nei pressi delle palazzine in cui viveva.

Attraverso le intercettazioni telefoniche e i riscontri balistici gli investigatori sono risaliti all’autore dell’omicidio: un connazionale della vittima domiciliato anch’egli nelle palazzine occupate.

Durante le indagini i poliziotti hanno scoperto che l’uomo fermato, è responsabile anche dell’investimento della vittima e del tentato omicidio di un altro connazionale, avvenuto il giorno stesso dell’omicidio.

Quest’ultimo è ricoverato in prognosi riservata per i colpi di accetta ricevuti sulla testa che gli hanno provocato gravi lesioni.

L’auto usata per l’investimento, che presenta il parabrezza sfondato, è stata individuata e sequestrata per ulteriori accertamenti.

Violenze a Messina,5 ultras baresi in carcere

A seguito delle indagini, la Digos della questura di Messina ha eseguito stamattina cinque misure cautelari nei confronti di ultras baresi per incidenti che si sono verificati il 21 ottobre e il 4 novembre scorsi a Messina, nella Rada di San Francesco.

Quattro tifosi sono stati posti ai domiciliari e uno arrestato poiché a seguito di perquisizione domiciliare gli agenti della Digos hanno trovato e sequestrato, nell’appartamento,circa un chilo di hashish, un bilancino di precisione, una pistola giocattolo, tre proiettili di cui due del tipo munizionamento da guerra ed un tubo telescopico atto ad offendere.

In entrambi gli episodi gli scontri avvennero nell’area degli imbarchi. Nel primo episodio, quello di ottobre, un gruppo di tifosi del Messina, al rientro dalla partita giocata a Torre del Greco, e del Bari, di ritorno dalla trasferta di Marsala, si incrociarono, dando via agli incidenti, sedati tempestivamente dai poliziotti presenti sul posto. In particolare le due tifoserie lanciarono fumogeni e bombe carta. Il bilancio fu di decine di feriti e danni ai tornelli della stazione marittima.

A conclusione dell´indagine condotta dai poliziotti della Digos, con la collaborazione dei colleghi di Bari, venivano denunciati 10 ultras baresi.  

Nel secondo episodio, invece, alcuni ultrà del Bari di ritorno da una trasferta ad Acireale, nell’attesa di imbarcarsi per Villa San Giovanni, scesero dal pullman armati di mazze, bombe carta e fumogeni, inveendo contro gli altri automobilisti in coda per l’imbarco e lanciando corpi contundenti e bombe carta, causando lesioni lievi a tre agenti di polizia. Fatti, questi, per i quali il questore di Messina aveva emesso 18 Daspo.

Donatella Fioroni

Roma: furto e riciclaggio internazionale di auto, 12 arresti

Si è conclusa questa mattina all’alba, con 12 arresti, l’operazione della Polizia Stradale “Hybrid“, che ha permesso di scoprire un’associazione per delinquere specializzata in furto e riciclaggio di auto.

Gli arresti sono stati eseguiti tra Roma e i comuni laziali di Nettuno e Marino, con l’impiego di oltre 90 uomini della Stradale e con l’ausilio delle unità cinofile della questura di Roma; uno degli associati è stato preso a Udine.

In quasi un anno di lavoro, sono state arrestate complessivamente 30 persone tra cittadini italiani, albanesi, moldavi e polacchi che risponderanno, in associazione, di riciclaggio di veicoli, furto, ricettazione, falso e occultamento di documenti. In molti casi, i crimini venivano commessi, pianificati, diretti e controllati anche da altri Paesi (Polonia, Bulgaria, Albania, Spagna e Germania).

Nel corso dell’intera operazione sono stati recuperati un centinaio di veicoli rubati, talvolta già smontati e ridotti in pezzi di ricambio; sono inoltre stati sequestrati documenti e attrezzature utilizzati per le attività illecite.

Il gruppo criminale si muoveva su due fronti. La prima “attività” era quella di ricettare i pezzi di ricambio scegliendo i veicoli più idonei per la “cannibalizzazione”, ovvero lo smontaggio dei costosi pezzi di ricambio che, privati degli elementi identificativi, venivano immessi nel mercato internazionale clandestino, anche attraverso i circuiti di vendite online.

Nel secondo caso, mettendo in campo le loro competenze, i criminali individuavano i veicoli di grossa cilindrata da vendere in nero nel mercato parallelo, dopo averle “ripulite”. Ne effettuavano la nazionalizzazione attraverso l’impiego di documenti esteri falsi o di illecita provenienza. Le auto “ripulite” venivano, poi, distribuite in Italia e nei Paesi dell’est europeo.

Il capo della banda era un cittadino albanese che si avvaleva della stretta collaborazione di due fidati complici italiani e di un assortito gruppo di malviventi a cui erano affidati precisi incarichi: il furto delle auto, il trasporto delle stesse presso le officine improvvisate, le attività di smontaggio, il reperimento dei documenti per le nazionalizzazioni, fino ad arrivare alla spedizione dei veicoli ripuliti.

Nell’attività criminale erano coinvolti anche due autodemolitori della periferia romana che avevano il compito di far sparire definitivamente le parti delle auto “scomode” frantumandole dentro le presse.

L’organizzazione, ben inserita nei contesti criminali romani, vantava un forte vincolo associativo, e il possesso di ingenti risorse di denaro, derivate dal riciclaggio di veicoli, ma anche dallo spaccio di sostanze stupefacenti.

È emerso inoltre che parte dei proventi illeciti venivano impiegati nell’acquisto dell’attrezzatura meccanica e tecnologica per le attività criminose, nonché nel sostegno delle famiglie e nell’assistenza legale ai membri dell’organizzazione rimasti coinvolti in vicende giudiziarie.

Per non essere scoperti, i vertici dell’organizzazione avevano imposto l’adozione di diverse cautele come cambiare frequentemente base di appoggio (capannoni, box e officine), sempre prescelte in luoghi isolati, e telefoni cellulari, registrando sia le une che gli altri ad intestatari fittizi.

In uno degli interventi della Polizia stradale è stato fermato un autotreno, con gli interni perfettamente “schermati”, ove erano stati nascosti centinaia di pezzi di ricambio, appartenenti a 18 veicoli di media e grossa cilindrata, rubati a Roma e provincia e diretti in Polonia.

Sfida al freddo estremo: storica impresa del nostro Paolo Venturini

Ha compiuto un’impresa che rimarrà nella storia riuscendo a correre più di 39 chilometri in meno di quattro ore ad una temperatura di -52 gradi centigradi diventando orgoglio dell’Italia e della Polizia di Stato.

Paolo Venturini, sovrintendente della Polizia di Stato ed atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro, ad Oymyakon, il luogo abitato più freddo del mondo, in Jakutia (Russia), ieri ha compiuto quello che finora nessun uomo era mai riuscito a realizzare.

Le sue doti fisiche ed atletiche gli hanno consentito di resistere alle conseguenze del freddo tra le quali il congelamento delle prime vie respiratorie, i problemi ai denti ed agli alveoli polmonari.

L´atleta della Polizia di Stato, nella sua sfida sportiva, è stato accompagnato da due medici del Dipartimento di medicina dello sport dell’Università di Padova, da un traduttore e da un accompagnatore; nel progetto sono stati coinvolti esperti in medicina del freddo dell’Università di Yakutsk.

I medici specializzati che hanno seguito il nostro atleta, hanno avuto modo di testare le reazioni del corpo umano aprendo così nuovi spazi per la ricerca scientifica. Anche l’abbigliamento tecnico utilizzato ha consentito di testare prodotti innovativi in un contesto particolarmente ostile.