Secolo Perusco è nato nel 1922 in un piccolo borgo istriano.
L’armistizio pose fine alla sua carriera militare, intrapresa all’inizio del 1943.
Alla fine della guerra, lasciata la regione natia, si stabilì a Trieste con l’intento di concludere gli studi universitari sospesi all’atto della chiamata alle armi.
Nel 1946 si arruolò nella “Venezia Giulia Police Force”, organismo di polizia civile istituito dal Governo Militare Alleato, in cui raggiunse il grado corrispondente a capitano.
Dopo la restituzione di Trieste all’Italia partecipò al concorso indetto nel 1955 dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza e ricominciò la carriera con la qualifica di volontario vice commissario aggiunto in prova. Assegnato alla Questura di Udine, venne poi spostato al settore Polizia di Frontiera del Brennero, alla Questura di Brescia ed all’Ufficio di P.S. presso il Compartimento FF.S di Venezia, dove concluse l’attività il 31 dicembre 1987.
Uomo di frontiera per nascita e professione, è stato testimone a Trieste, al Brennero “argomento di questo scritto” e a Brescia di eventi entrati nella storia.
(dal libro)
… Il 3 aprile 2007 nell’aprire il plico raccomandato proveniente dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, pensavo di trovarvi la citazione a testimoniare, ma, con spiacevole sorpresa, lessi che si trattava della notifica dell’avviso, a firma del RM. dr. Paolo Giorgio Perri, dell’avvenuta presentazione al Giudice per le indagini Preliminari della richiesta di “archiviazione” della mia denuncia-querela. (Allegato 11. 6)
Non avrei mai immaginato che il PM. di Roma avrebbe considerato non punibili le calunniose accuse, tra cui quella di sperimentatore concreto del terrorismo italiano, rivolte ad un pubblico ufficiale, mentre, stando a quanto riferito da “La Repubblica” del 9 luglio 2004, la Corte di Cassazione ha definitivamente confermato la condanna per ingiurie inflitta ad un automobilista reo di aver gridato “Tu non sei nessuno” contro un posteggiatore. (Allegato 11. 7)
Mentre ero in servizio non avevo mai fatto parola con estranei dell’attività svolta e, a maggior ragione, non ne avrei parlato a servizio concluso.
Proprio per non divulgare argomenti relativi alla sicurezza pubblica avevo fatto ricorso ai giudici; ma, visto il loro responso, mi sento obbligato ad uscire dal riserbo sinora osservato; altrimenti, cioè continuando a tacere, contribuirei io stesso a dare credibilità alle false accuse rivoltemi.
Con questo scritto ho pensato di informare, oltre che parenti ed amici, quanti hanno lavorato accanto a me al Brennero assolvendo con grande impegno, in condizioni difficili e talvolta pericolose, i rispettivi doveri, e per offrire a quanti di essi avessero letto il libro in questione la possibilità di valutarne il contenuto e verificare se le definizioni date di me dallo scrittore mi si addicano.
Mi incombe l’obbligo di intervenire anche per evitare che la descrizione dei fatti contenuta nel testo finisca con lo screditare di riflesso pure il lavoro svolto da centinaia di militari di Pubblica Sicurezza e dell’arma dei Carabinieri che per molti anni si sono prodigati nell’adempimento dei compiti a loro affidati. Consapevoli dei pericoli che affrontavano e senza accusare cali di rendimento, nonostante le molto avverse condizioni climatiche locali, essi hanno operato sempre con profondo senso del dovere, perché convinti di assolvere, oltre alle incombenze proprie del servizio d’istituto, un ruolo di grande responsabilità, che era quello di impedire ai terroristi di utilizzare il varco del Brennero per porre in atto in Italia i loro piani criminali.
Onde offrire la possibilità di conoscere la verità dei fatti accaduti rispetto alla Versione che ne ha dato lo scrittore, dopo qualche cenno sulla località e sulle condizioni ambientali, descriverò succintamente l’attività di competenza dell’ufficio di polizia di frontiera e l’indirizzo dato alla stessa con le conseguenti responsabilità che me ne erano derivate.
Per evidenziare lo stridente contrasto del giudizio espresso sul mio conto dal sig. Flamini, che non mi conosce, con quelli pronunciati da enti e persone istituzionalmente qualificati a giudicare il mio operato, che mi conoscevano bene, riporterò alcune note da questi inviatemi in merito durante il periodo di servizio al Brennero e alla sua conclusione.
Prevedo che per estensione e narrazione in prima persona quanto segue finirà per apparire una specie di autopanegirico.
Sicuramente il racconto che mi accingo a fare non avrebbe mai visto la luce, anzi non sarebbe stato nemmeno mentalmente concepito se, al posto dell’iperbolico monumento auspicatomi al momento della partenza dal Brennero dal dirigente della polizia austriaca a quel valico di frontiera (“Italien sollte Ihnen ein Denkmal am Brenner errichten — l’Italia dovrebbe erigerLe un monumento al Brennero”), non ne avesse eretto uno, ma a mio enorme disdoro, l’autore di “Brennero connection — Alle radici del terrorismo italiano”….